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Contenuto a cura di Silvana Spada per il Convergent Marketing®
Virtual Influencer: il Metaverso non è solo una fantasia di Zuckerberg
Lo sviluppo delle tecnologie AI comincia ad allontanare le perplessità e la diffidenza degli utenti di fronte all’interazione uomo-macchina: l’idea che la nascita del Metaverso, annunciata da Mark Zuckerberg nel 2021, sia soltanto una remota utopia è rovesciata dalla consapevolezza che possa evolversi in una effettiva realtà.
Questo accade grazie ai connotati antropologici degli artificial human, tanto reali e tecnologicamente avanzati, da rappresentare una vera e propria trasposizione dell’uomo all’interno dell’universo digitale, il cui confine con il mondo reale è sempre più labile. L’aspetto, il modo di interagire e relazionarsi, così empatico e vero degli artificial human, permette agli utenti di fidarsi e affidarsi al proprio interlocutore digitale, dando vita ad un rapporto alla pari, senza alcun tipo di scetticismo nei confronti delle risposte e delle capacità di pensiero dell’uomo/donna virtuale.
In virtù di questa loro autenticità, sono già centinaia gli individui digitali che si sono inseriti a pieno titolo, nel nuovo paradigma delle relazioni rappresentato dai social network.
Sono sempre meno prototipi standardizzati e sempre più identità dotate di una vita e di una storia propria che raccontano tramite i social media, differenziandosi per interessi, per life style, per attitudini e conquistando un numero di follower tale da essere definiti “virtual influencer”.
Gli account Instagram a cui far riferimento sono già molteplici: Bermuda e Lil Miquela, figlie di Brud, azienda di Los Angeles che si occupa di intelligenza artificiale, contano rispettivamente più di 270 mila e 3 milioni di follower.
Miquela ha 19 anni, vive a Los Angeles ed è una cantante con circa 190 mila ascolti mensili su Spotify. Il suo profilo nasce nel 2016, come progetto di marketing; oggi il suo personaggio vanta numerose collaborazioni con case di moda storicamente note, come Prada e Calvin Klein. Lo storytelling è lo stesso: immersa in momenti di vita quotidiana, tra cibo e divertimento, amici virtuali e no, Lil Miquela sfoggia i trend di stagione, con disinvoltura e spontaneità, come una vera endorser. Ogni post di Miquela è correlato da una didascalia che adotta uno slang idoneo al suo target e alla sua età, arricchito di emoji e “call to action”.
La nota virtual influencer però, non è dedita solo ai frivoli e invidiabili aspetti della vita mondana (che di certo innalzano il livello di engagement) ma si mostra come un’attivista sensibile a questioni etiche e sociali come il movimento Black Lives Matter.
Chi segue Lil Miquela dagli albori, conosce bene la sua storia immaginaria, le numerose rotture con il fidanzato (spesso mostra la sua sofferenza ritraendosi in un selfie con le lacrime), conosce le interviste che ha rilasciato per Vogue o The Guardian e ricorda le numerose immagini circolate nel web con noti esponenti dello spettacolo, come la star di Stranger Things, Millie Bobby Brown con cui ha collaborato per Samsung.
Nel 2018 l’account di Miquela viene hakerato: fa il suo ingresso su Instagram, con un tocco di stile (o di furbizia) la secondogenita di casa Brud, Bermuda. Dopo l’annuncio dei propri creator sulla paternità dei due personaggi, il numero di follower del profilo personale di Bermuda cresce vorticosamente nel giro di pochi mesi. La modella, tra lusso e divertimento, è spesso ritratta in compagnia di Miquela e Ronald F. Blawko, sex sybol attraente e narcisista, che si nasconde incessantemente dietro una mascherina.
La lista dei nomi è davvero molto lunga. Molti di questi avatar mantengono volutamente un aspetto irrealistico, come fossero dei cartoon o personaggi ispirati alla tradizione dei manga e degli anime (vedi Noonoouri), aspetto che non stupisce, se mettiamo in conto la quantità di società di produzione di virtual human presenti in Giappone e Cina.
Nonostante ciò, è indubbio che la tendenza del mercato è quella di creare personaggi simili all’uomo per aspetto, atteggiamento e stile di vita, tanto che l’utente è costretto a soffermarsi per qualche istante davanti a quei profili, per riuscire a distinguere il reale dal digitale, sapientemente fusi in un’unica immagine ad alta qualità.
Shudu Gram, Liam Nikuro, Bejby Blue, Te’resa, sono solo alcuni dei tanti personaggi virtuali che popolano il web, ognuno con la propria biografia e con il proprio aspetto incredibilmente umano fino all’ultimo dettaglio. A ragion di ciò, per non cadere nella trappola del perbenismo, molti dei computer-generated imagery presentano qualche naturale imperfezione, come l’acne, occhiaia e qualche chilo in più, al fine di supportare la sfida contro il body shaming e quei canoni estetici irraggiungibili.
A rivendicare questi valori troviamo Nefele, la prima virtual influencer italiana, di Torino, in controtendenza per la sua pelle piena di efelidi; alfiere del concetto di diversità e di inclusione, sostenitrice della comunità LGBTQ+.
È indubbio che stiamo parlando di una nuova frontiera del marketing: le compagnie del settore stanno investendo notevoli somme di denaro (si stimano circa 15 miliardi di dollari) per produrre virtual human ad hoc, che rispondano concretamente ai criteri della propria brand identity, senza incorrere nel pericolo di cadute di stile e atteggiamenti sbagliati da parte degli influencer che rovinano l’immagine e la reputazione aziendale.
La famosa modella virtuale dal caschetto rosa, Imma, della società giapponese ModelingCafe, è stata progettata per essere un influencer al servizio dei brand, sia per gli Instagram ads e sia per campagne pubblicitarie come quella di IKEA Harajuku. Come lei, anche Daisy Yoox, è stata progettata dall’omonima azienda per promuovere i propri capi di abbigliamento.
La curva del mercato dei virtual influencer è in crescita e rappresenta un chiaro segnale di come l’interazione con gli artificial human, anche nel mondo offline, sia possibile ed imminente. Alcuni mestieri possono essere sostituiti o affiancati da assistenti virtuali umanoidi, in grado di controllare una serie infinita di dati, con un basso margine d’errore.
Basti pensare ad una commessa di un megastore, ad una guida museale o di un addetto al botteghino con cui interagire naturalmente, in un canonico scambio relazionale.
La Generazione Z è, al momento, l’utenza più adatta ad accogliere questo progressivo cambiamento, la reale sfida sarà convincere i più scettici che questa futura dimensione non metterà a repentaglio le relazioni sociali reali, quanto piuttosto riuscirà ad alimentarne altre.
Contenuto a cura di Silvana Spada per il Convergent Marketing®