Diario di una psicologa alla conquista dell’Intelligenza Artificiale
di Costanza Galante | Psicologa della Comunicazione e del Marketing
Sono sempre stata affascinata dall’innovazione tecnologica in tutte le sue forme, ma ancora di più dalla relazione intricata tra individui e… macchine.
Da buona appassionata della comunicazione, quando ho visto un corso sull’Intelligenza Artificiale dedicato a chi, come me, ha una formazione umanistica, non me lo sono lasciata scappare.
Se è vero che il nostro orizzonte lavorativo è sempre più proiettato verso la digitalizzazione e l’automazione, è anche vero che servono figure professionali con le competenze giuste e le soft skills adeguate per intercettare e facilitare questa transizione.
È iniziata così la mia avventura con la MasterClass, organizzata da The Digital Box, per diventare Conversation Designer, quello che in gergo teatrale potremmo definire un “Gobbo 4.0”.
Questa figura si occupa di creare per l’Intelligenza Artificiale un bagaglio di conoscenza lessicale che gli consente di interagire in maniera naturale, intuitiva ed esaustiva con gli utenti.
Il rapporto tra pensiero e linguaggio, per me che sono una psicologa della comunicazione e marketing, è un tema di straordinaria importanza e centralità. Nel creare il mio assistente virtuale non ho potuto fare a meno di immaginare in che modo il suo aspetto umanizzato, la gestualità naturale, il tono di voce, l’abbigliamento e il registro linguistico utilizzato avrebbero influenzato gli utenti. Immediatamente ho pensato a quanto sarebbe prezioso creare un AI che risponda ai tratti di personalità del target desiderato, un avatar con cui l’utente possa identificarsi, interagire e, perché no, creare empatia.
L’approccio con la piattaforma Algho è stato subito semplice e intuitivo e mentre costruivo la “base di conoscenza” del mio avatar partendo dalle cose più essenziali e talvolta banali, mi è venuta in mente una frase di Erich Fromm e mi sono fermata a riflettere:
“La civiltà sta producendo macchine che si comportano come uomini e uomini che si comportano come macchine.”
È proprio vero, noi uomini siamo alla continua ricerca dell’efficienza e della perfezione, mentre le macchine già funzionali e impeccabili per loro natura, si stanno lanciando alla conquista dell’empatia. Un assistente virtuale è uno strumento efficace e immediato per veicolare informazioni, ma non solo, è un modo innovativo per intrattenere l’utente e averne cura, dedicargli attenzione, farlo sentire importante, considerato, ascoltato.
Liberandolo dai limiti di tempo e dall’imbarazzo di porre domande che in altri contesti potrebbero sembrare scontate, stupide, banali.
Il mio viaggio nell’intelligenza artificiale da psicologa è stato affascinante: ho utilizzato le associazioni libere nella loro più primordiale accezione freudiana, ho riflettuto tanto sulla percezione degli utenti e immaginato le mie personas di riferimento. Così ho dato vita a tre assistenti virtuali con differente aspetto, sesso, voce, linguaggio e oserei dire, personalità, a seconda delle esigenze del business di riferimento.
Viviamo in un’epoca che offre, attraverso la tecnologia incredibili opportunità, dobbiamo essere in grado di sfruttare questo potere rimettendo al centro l’umanità. Oltre all’usabilità e all’efficienza serve qualcuno che possa entrare a fondo nella testa e nel cuore del cliente e creare con l’AI quella magica scintilla che fa la differenza, orienta la scelta e genera empatia.
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